NOI SIAMO UN MINESTRONE [Imagine]

 

di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli e Stefano Pasquini
regia Paola Berselli e Stefano Pasquini
organizzazione Irene Bartolini
ufficio stampa e comunicazione Raffaella Ilari
creazione Teatro delle Ariette 2024
per 40 spettatori

 

In uno spazio quadrato, al centro su tavoli bassi, ci sono due pentole e tutto il necessario per fare il minestrone. Attorno, attori e spettatori, seduti sulle sedie. Più che uno spettacolo meglio pensarlo come un incontro, un pezzo di tempo, un’ora di tempo vissuta poeticamente cercando quello che c’è prima delle parole e quello che resta dopo che sono state pronunciate e dimenticate. Un pezzo di vita per tutte le cose da raccontare, sull’amore, sul teatro, sulla forza delle piante e l’energia degli animali, su come sarebbe facile, in fondo, essere felici. In un tempo di guerre, uno spettacolo per raccontare l’amore. Uno spettacolo per ritrovare il senso e il piacere del gioco. Uno spettacolo per immaginare il presente.

NOTE DI REGIA

«Abbiamo più di sessant’anni, ci conosciamo dal 1978, da trentacinque anni viviamo alle Ariette e la nostra compagnia ne ha compiuti ventotto. Anni fatti di mesi, di giorni, di ore e minuti. Un tempo infinito, un’eternità, un attimo.
È il cammino della vita, la ricerca dell’identità. È la risposta a quella prima domanda: chi siamo noi? Noi chi? Paola e Stefano, oppure io e te, attori e spettatori, noi gruppo, società, massa?
Siamo un minestrone. Come il minestrone siamo fatti di acqua. Siamo più di un miscuglio di forme, di specie, di generi. Noi siamo relazione. Noi amiamo, soffriamo, facciamo la guerra e la pace. Il nostro agire ha fatto e fa il mondo, non da solo naturalmente, ma insieme a tutto il resto.
E il Teatro è una delle nostre azioni, come il lavoro nei campi, la trasformazione del cibo, l’osservazione della realtà.
La relazione cambia le cose. Acqua e farina, nell’incontro, perdono le rispettive identità e ne trovano una nuova chiamata pane. Carote, patate, bietole e zucchine fanno lo stesso. Si incontrano in una pentola, dentro l’acqua che bolle, non saranno mai più quello che erano prima, ne conserveranno solo un ricordo. Ora, insieme, stanno diventando un minestrone. Così, entriamo e ci trasformiamo nello spazio magico del Teatro. L’io diventa noi, la mia storia la tua, la tua vita la mia.
Lo spazio è un quadrato, vuoto. Al centro due pentole. Su tavoli bassi, quasi a terra, c’è tutto il necessario per fare il minestrone. Attorno ci siamo noi, attori e spettatori, seduti sulle sedie che delimitano il quadrato.
E poi ci sono le cose da dire, da raccontare, sull’amore, sul teatro, sulla forza delle piante e l’energia degli animali; su come sarebbe facile, in fondo, essere felici. In questo tempo di guerre abbiamo fatto uno spettacolo per raccontare l’amore. Forse non è esatto parlare di spettacolo. Preferiamo pensarlo come un incontro, un pezzo di vita, un’ora di tempo vissuto poeticamente cercando quello che c’è prima delle parole e quello che resta dopo, dopo che sono state pronunciate e dimenticate. Aspettando il minestrone, piatto così umile e quotidiano da appartenere alla vita di tutti».

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