- IL TEATRO, I TEATRANTI E GLI SPETTATORI
- GIORGIA BOLDRINI (23.3.14)
- ELENA BUSANI (23.3.14)
- LUCIA COMINOLI (23.3.14)
- AZZURRA D'AGOSTINO (23.3.14)
- BRUNA GAMBARELLI (23.3.14)
- MASSIMO MARINO (23.3.14)
- ROBERTA TREBBI (23.3.14)
- NERIO ZUCCHINI (23.3.14)
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- ROBERTA TREBBI (1.4.14)
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- LUIGI DADINA (29.6.14)
- BARBARA VAGNOZZI (29.6.14)
- ELENA GALEOTTI (26.7.14)
- Centro Doc Handicap (10.11.14)
23.03.2014
LUCIA COMINOLI
Lo spettatore inatteso
Nuovi sguardi sul teatro dal laboratorio di educazione alla visione
"La Quinta Parete"
Se il paradosso parte dal palco
Che cosa significa per un disabile andare a vedere uno spettacolo? Quello che significa, sarebbe corretto e ovvio rispondere, per uno spettatore qualsiasi...un'occasione festiva d'incontro, un momento di divertimento e di riflessione, un'esperienza estetica, il tempo di una relazione unica e irripetibile con l'attore e via dicendo.
Eppure non è così, non solo perché la maggior parte dei teatri presentano ancora grossi problemi in termini di barriere architettoniche e di
accessibilità ma anche e soprattutto perché lo spettatore disabile a teatro semplicemente non
c'è. Se lo troviamo il più delle volte accade sul palco, protagonista in
realtà di percorsi laboratoriali dagli esiti spettacolari obbligati, all'interno di un processo artistico dalle
finalità prevalentemente ludiche e terapeutiche. Tutto questo andrebbe benissimo se, paradossalmente, non ci ponesse subito di fronte alla messa in mostra di
un'eccezionalità intrinseca che porta con sé un altrettanto spontaneo e dibattuto problema di ruoli.
Il pericolo principale sotteso a questa dinamica è la ben nota politica della
pietà, basata secondo la definizione di Hannah Arendt, sulla distinzione tra esseri umani che soffrono ed esseri umani che non soffrono, in cui emerge l'insistenza di sguardo dei secondi sulla sofferenza dei primi, la svalutazione del processo artistico a favore di quello psicologico, la macabra
curiosità nei confronti
del "mostro". A ciò si aggiunge l'autoreferenzialità di una platea composta unicamente da familiari, operatori del settore educativo, teatranti, in cui il
"fuori" non è mai veramente chiamato ad accettare e riconoscere
l'attività appresa. Fenomeni e rischi, questi, propri di tutto il cosiddetto teatro sociale, che si estendono dal mondo dell'immigrazione a quello del carcere.
In questo modo lo sguardo dell'altro, ciò che tautologicamente
è racchiuso quale essenza stessa della parola
"teatro" (letteralmente "il luogo dello sguardo") viene a mancare in tali contesti dei suoi termini di sfida. Come afferma Salvo Pitruzzella:
"Lo sguardo dell'altro può essere fonte di autorizzazione, ma anche negarla:
"L'inferno sono gli altri", sosteneva Jean-Paul Sartre. Quello che il regista chiede
è di porsi di fronte a questa contraddizione, e trascenderla con uno sforzo eroico, o con un atto disperato"
[1]. Atto che ponga in luce il conflitto, le contraddizioni e gli scontri dei ruoli e della visione. Ma se provassimo allora a fare davvero uno sforzo eroico, a scendere un grandino
più in basso e a ribaltare i ruoli a partire dalle nostre stesse posizioni? Ci accorgeremmo che si
può parlare di integrazione dal palco come dalla platea, dalla parte dell'attore e da quella dello spettatore, dall'eccezione alla regola e dalla regola all'eccezione.
[1] S.PITRUZZELLA, L'importanza dello sguardo dell'altro, in "Catarsi teatri delle diversità", 24, dicembre 2002, p.17
Entrare, accedere, conoscere
Entrare a teatro, una volta superata la rampa, aver ricevuto l'accoglienza delle maschere, essersi fatti strada tra gli altri spettatori nel foyer, aver riconosciuto e raggiunto il proprio posto nelle prime file presso i corridoi e le uscite di sicurezza,
è tutto sommato per un disabile un fatto semplice se siamo disposti ad accettarne la logica della lentezza.
Accedere invece è qualcosa di più impegnativo, che implica uno sforzo e un'attenzione speciali. Se infatti l'entrata
non è che un'azione meccanica e ordinaria, l'accesso implica un'azione creativa ed extra ordinaria, dove la
qualità dell'incontro con l'evento coincide con la qualità stessa della sua percezione. In una parola, non si accede senza
conoscere.
Al di là di offrirci uno spunto per continuare a ripensare la parola "accessibilità",
c'è ora da chiedersi che cosa un tale assunto può indicare di fronte alla visione di uno spettacolo teatrale e
più in generale di fronte alla creazione artistica. Si potrebbe rispondere per cominciare, che per lo spettatore disabile e non, la fruizione passa sempre attraverso l'esperienza e la frequenza di un linguaggio. Sembra scontato ma non lo
è. Pensiamo alle numerose volte in cui certi gruppi di tempo libero, case famiglia e cooperative letteralmente parcheggiano nello spazio-teatro i propri utenti, propinando loro spettacoli di scarsa
qualità....Spettacoli amatoriali, dialettali o prettamente legati alle formule dell'infanzia si susseguono per ore di fronte ai consumatori perplessi o passivi, mentre i promotori delle uscite o sono altrove o a malapena conoscono i titoli delle opere. Andare a vedere una performance, al bar, al cinema o a mangiare una pizza
è la stessa cosa. In questo modo, è indubbio, allo spettatore resta in mano ben poco, pronto a entrare a teatro con la completa certezza di uscirne tale e quale. Se una volta fuori dallo spazio scenico poi, non sentiremo in noi alcun accenno di cambiamento, potremo proprio star sicuri di aver perso del tempo o, ancora peggio, di esserci terribilmente annoiati.
"[...] Non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di
peso" [2] diceva Italo Calvino.
Qualità e consapevolezza sono due passaggi importanti, due elementi costitutivi dell'arte stessa e dello sguardo dello spettatore, che in quest'ottica
dovrà saper fare delle scelte che varranno la pena solo se in grado di suggerire rivoluzioni e cambi di prospettiva.
è chiaro che la consapevolezza si acquisisce nel tempo e che l'esperienza, quando limitata da un'autonomia parziale, deve essere, almeno inizialmente, indirizzata e mediata. Il discorso quindi vale, a nostro parere, anche per gli operatori e gli accompagnatori normodotati del settore assistenziale e educativo, che dovrebbero provare a confrontarsi sulle proprie offerte in sinergia con figure e
professionalità specifiche dell'ambiente artistico.
Cominciare ad ammirare o semplicemente a partecipare alle caratteristiche e ai contenuti di un linguaggio, tuttavia, non significa diventare improvvisamente spettatori critici capaci di maneggiare codici eleganti e complessi, sarebbe un tentativo inutile sia per chi presenta deficit cognitivi importanti sia per chi ha come obiettivo di fondo la mediazione.
Quello che è interessante nell'atto teatrale è piuttosto l'incontro in presenza e la sua connaturata
capacità di fare leva su parole come autostima, divertimento e relazione in grado di rendere il disabile non solo il protagonista di
un'attività ma anche il fruitore di un'opera di qualità in quanto cittadino parte e partecipe del suo tempo.
Integrarsi nel gioco della scena con il resto dei partecipanti sarà allora il passaggio conseguente e successivo. Come arrivarci? Imparando a entrare, accedere e conoscere fino a lasciare delle tracce.
[2] I.CALVINO, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2002, p.19
La Quinta Parete
Insieme al Gruppo Calamaio del Centro Documentazione Handicap abbiamo intrapreso quest'anno un primo viaggio nel mondo del teatro, possibile grazie alla visione gratuita di nove spettacoli offertaci dal Teatro Testoni di Casalecchio di Reno e dal Teatro Itc di San Lazzaro, entrambi della provincia di Bologna.
Si tratta di due teatri ben noti alla città, da anni operanti sulle aree periferiche in direzione dell'inclusione e dell'educazione di un pubblico ancora composto, cosa ormai rara, più da gente comune che da addetti.
Qui siamo entrati al solito come gruppo integrato, composto dagli animatori disabili e dagli educatori del Gruppo, per dare vita a una redazione
"mista", La Quinta Parete, in cui si è giocato, scritto e discusso sugli spettacoli a cui, di volta volta, abbiamo gradualmente avuto accesso. Abbiamo scoperto così che il teatro accade in un tempo e in uno spazio unico e irripetibile ma anche che uno spettacolo può continuare a vivere in noi ben oltre la rappresentazione, che esiste un prima e un dopo la visione e che su questo si possono spendere creazioni, pensieri e immaginazioni. Nel farlo ci siamo fatti aiutare da tecniche di scrittura creativa, dall'intervento di critici teatrali e dall'incontro con gli artisti stessi. Le ombre di Teatro Gioco e Vita di Cane Blu, l'intervista impossibile con l'Antigone delle Belle Bandiere, i lirismi di César Brie o ancora il viaggio Nel profondo degli abissi sul Teatrobus sono solo alcuni degli scenari delle nostre esplorazioni in cui anche voi potrete ora immergervi.
Oltre infatti alla nostra stessa presenza, rumorosa, imprevedibile e dal resto del pubblico visibilmente inattesa, a testimoniare le tracce del passaggio ci ha pensato anche un blog,
http://laquintaparete.accaparlante.it/, consultabile sul sito della Cooperativa Accaparlante e su quello dei teatri.
Integrarsi ha così significato per noi segnalare la nostra entrata in sala con lo scopo di regalare alla cittadinanza tutta nuovi spunti, logiche e aperture sui temi offerti dalla visione, a partire da parole come giustizia, utopia e comunità che riteniamo di valore e importanza comuni.
Scrivere non basta
Fino ad ora abbiamo visto quello che lo spettatore, disabile o non, può fare per approcciarsi più consapevolmente alla fruizione del mondo dell'arte e del teatro. Restano però da capire quali siano oggi in tal senso i compiti del teatro e della sua voce critica.
"Scrivere non basta", affermava Franco Quadri, il più illustre critico teatrale italiano degli ultimi trent'anni. Il compito della critica, continuava, non sta nel giudicare un'opera quanto piuttosto nel farla esistere, nel fornire delle chiavi di lettura che mantengano stretto il legame e il contatto tra l'opera, lo spettatore e il suo tempo.
Da questo punto di vista l'atto della scrittura è solo la punta di un iceberg, che va a valorizzare il processo creativo da un lato, e il tempo della relazione dall'altro.
Ciò che oggi viene a mancare alla critica è proprio il secondo passo: la conoscenza dello spettatore a cui si rivolge. Il teatro contemporaneo ha già forato la quarta parete, quella tra il pubblico e la scena. Ne resta a nostro parere in piedi ancora una quinta, quella che separa il teatro dalla realtà.
Prima di sfondarla, ci esorta il Calamaio, cominciamo a macchiarla.
Per informazioni
http://laquintaparete.accaparlante.it/
http://www.itcteatro.it/
http://www.teatrocasalecchio.it/
lucia.cominoli@accaparlante.it
L'articolo è stato pubblicato sulla rivista di cultura e disabilità HP-Accaparlante , n.3, giugno 2012, Erickson Edizioni
Sconquasso, istruzioni per l'uso
Liberamente ispirato a Istruzioni alla servitù di Jonathan Swift e agli esercizi mattutini di obbedienza e normalità, eseguiti dagli ospiti del Castello di
Diario di una follia di stato per la regia di Micaela Casalboni con i ragazzi del progetto europeo
"Crossing Paths-Sentieri che si incrociano".
L'entrata a teatro
Esercizio n.1 Non appena raggiunta la destinazione d'arrivo assumete la posizione di un cerchio aperto al centro del foyer, cercando di occuparlo trasversalmente da destra a sinistra.
Esercizio n.2 Infognate il biglietto nella zip del portamonete del vostro portafoglio nuovo che non avete ancora imparato ad aprire. Nel farlo, ponete la massima attenzione affinché quest'ultimo sia posizionato sul fondo della borsa, coperto da fazzoletti e altre cose imbarazzanti che sicuramente vi cadranno di fronte a un'illustre personalità quando le maschere vi chiederanno di estrarlo.
Esercizio n.3 Prima di tutto assicuratevi che dietro di voi ci sia una lunga fila. A questo punto cominciate ad attaccare bottone con le maschere, raccontate loro ogni dettaglio sul vostro viaggio d'arrivo, fategli dei complimenti e soffermatevi sulle più significative vicende della vostra vita personale. Cercate di farvi dare, sempre e comunque, il loro numero di telefono.
Esercizio n.4 Non ascoltate mai nessuno quando dovete prendere posto. Vagate in autonomia per la sala e posizionatevi dove desiderate, possibilmente vicino al palco, così che anche gli attori vi possano vedere (non si sa mai cosa può succedere), lontano dalle uscite di sicurezza e accanto a persone ben vestite e pettinate dall'aria di chi la sa lunga ma è lì per puro caso.
Esercizio n.5 Sorridete a chi vi è seduto accanto, dietro o davanti. Se il sorriso non viene ricambiato presentatevi, scambiando due parole su quello che vi aspettate dallo spettacolo.
Esercizio n.6 Quando la luce cala, siate sicuri che il vostro accompagnatore sia nel bel mezzo di una fila centrale e mandatelo a controllare se avete dimenticato qualcosa fuori dalla sala non appena l'attore muove il suo primo passo sulla scena e l'attenzione del pubblico è totale.
Assicuratevi che l'accompagnatore debba far alzare per lo meno quattro o cinque persone durante l'intera operazione.
Esercizio n.7 Abbandonatevi allo spettacolo. Ridete, gridate, saltate sulla sedia, piangete, così come vi viene. Vedrete come il ben vestito che vi è seduto accanto vi seguirà a ruota.
Esercizio n.8 Se lo spettacolo vi è piaciuto applaudite a piene mani con tutta la forza che avete in corpo, ora in piedi ora seduti, al grido di
"bravi, bravi!". Viceversa, se lo spettacolo non vi ha convinto, parlatene nel viaggio di ritorno a casa e continuate nei giorni a seguire, ancora e ancora, spiegando perché.
"La Quinta Parete - Lo spettatore è uno sguardo che racconta"
è un laboratorio di educazione alla visione nato per accompagnare le persone con disabilità e gli educatori del Progetto Calamaio della Cooperativa Accaparlante all'incontro con lo spettacolo teatrale attraverso giochi, tecniche e attività di scrittura creativa, coadiuvati dall'intervento professionale di artisti e critici teatrali.
Il risultato del lavoro è visibile sul blog
http://laquintaparete.accaparlante.it/, consultabile sul sito dell'Associazione CDH e del teatro ITC di San Lazzaro.