STRANIERI?
Progetto, testi e interviste Paola Berselli, Stefano Pasquini
Regia Stefano Massari
Immagini e montaggio Stefano Massari Carlotta Cicci
Colore e fotografia Carlotta Cicci
Il documentario accompagna e restituisce l’omonimo progetto realizzato per il Comune di Castelfranco Emilia tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021
Il progetto STRANIERI?, un percorso di teatro e cinema che ha raccolto i pensieri, i racconti e le testimonianze dei cittadini fino alla realizzazione del film documentario Stranieri?, fa parte del progetto Ex.stra - Extracomunitari, stranieri, cittadini o ex stranieri.
Il progetto EX.TRA rientra nel progetto Shaping Fair Cities, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma DEAR e ideato e coordinato dalla Regione Emilia – Romagna, con la partecipazione di 17 partner di 8 Paesi europei e 2 Paesi non UE, che mira ad integrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 all’interno delle politiche locali
Con la collaborazione di:
Associazione Arci solidarietà
Associazione Cittadinanza attiva
Associazione Cuore in gamba
Associazione Culturale Islamica
Associazione Dynamis
Associazione La Palma
Centro culturale Almo
Cooperativa Sociale Caleidos
Comunità Indiana
Proloco Castelfranco Emilia
Un particolare ringraziamento a Basma, Bassem, Caterina, Dominique, Esti, Giordano, Lilia, Musa, Rebecca, Rita, Romano, Suman
GRAZIE
a tutte le persone che hanno regalato al film un pensiero, una parola, uno sguardo
e a tutti quelli che ci hanno ospitato
Le cose dovevano andare in un altro modo. Avevamo immaginato di cominciare il progetto agganciando la piccola roulotte di Maurizio alla sua Due Cavalli bianca e partire per le strade di Castelfranco, armati solo di un piccolo megafono rosa. Come si faceva una volta per fare la pubblicità degli spettacoli, delle assemblee, delle feste dell’Unità o della parrocchia. Una macchina che gira per le strade del paese con un altoparlante, le trombe sul tetto e invita i cittadini a partecipare.
Avremmo attraversato il centro di Castelfranco e le frazioni, da Gaggio a Piumazzo, da Rastellino a Recovato, a Manzolino, a Cavazzona, quasi a passo d’uomo, dicendo al megafono rosa: “Domani sera grande spettacolo, nel Giardino dei Campanelli, dietro al Teatro Dadà. Il Teatro delle Ariette presenta IO, IL COUSCOUS E ALBERT CAMUS. Siete tutti invitati a partecipare, lo spettacolo è gratuito. E durante lo spettacolo prepariamo anche il couscous, per voi, da mangiare tutti insieme alla fine. C’è anche l’assemblea alla fine dello spettacolo, per discutere insieme sul significato della parola straniero. Siete tutti invitati, vi aspettiamo”. E le persone si sarebbero fermate a guardare quella macchina con la roulotte dietro avanzare a passo d’uomo. Qualcuno avrebbe puntato lo smartphone e scattato delle fotografie da condividere su Facebook. E anche noi ci saremmo fermati, saremmo scesi dalla macchina e avremmo cominciato a parlare con loro, a fare domande, a dare risposte. In quelle occasioni si parla quasi sempre del più e del meno, di cosa si mangerà a cena, di quello di cui parla lo spettacolo, se facciamo davvero il couscous, delle nostre origini, da dove veniamo. E noi chiediamo: “da quanto tempo vivi a Castelfranco? E prima dove stavi? Perché sei arrivato qui?”.
Il giorno dopo avremmo allestito lo spettacolo nel Giardino dei Campanelli, avremmo accolto gli spettatori, raccontato la nostra storia: la storia vera di Pasqui che quando aveva 17 anni, nel 1978, partiva per la Francia, innamorato, seguendo una ragazza di origine spagnola, e quasi quasi andava a finire che diventava un emigrante, che rimaneva a vivere in Francia per tutta la vita, come uno straniero. Ma poi invece dopo qualche mese tornava a casa e le cose andavano in un altro modo.
Le cose dovevano andare in un altro modo, forse da qualche parte era scritto così.
Chissà, forse nella vita è il caso che determina gli eventi. Una macchina che non parte, un treno in ritardo, un amore che finisce, un malinteso, un virus, e tutto quello che avevamo immaginato, programmato e pensato sfuma, la vita cambia, il corso degli eventi prende un’altra strada, ci porta altrove, in una terra sconosciuta che ci fa sentire stranieri.
È andata così. Niente Due Cavalli con roulotte, niente spettacolo, niente couscous. Teatri e cinema chiusi, bar e ristoranti a mezzo servizio, mascherine e coprifuoco. Tenersi distanti, lontani, stare in casa, al sicuro, evitare contatti con gli sconosciuti. Non uscire dalla casa, dal comune, dalla regione, dallo stato. Sottoporsi a controlli, coprifuoco, autocertificazioni, tamponi, sierologici e mascherine. Tutti stranieri dietro le mascherine. Non riconoscere più i vicini, i conoscenti, a volte nemmeno gli amici. Ritrarre la mano, fare un passo indietro, o di lato e non capire più i codici di comportamento. Fare inutili sorrisi invisibili, vedere gomiti spigolosi che si sfiorano, sentire parole soffocate che non riusciamo più a decifrare, come se parlassimo una lingua straniera. E avere paura, paura, tanta paura di non spiegare, di non capire, di non sapere come fare, come comportarsi, per essere gentili, per non ammalarsi. E stare sempre all’aperto e in piedi, a mangiare, a bere, a chiacchierare, aprire le finestre d’inverno, prendere freddo, vedere i bambini giocare in cortile, nel fango, sotto la pioggia, come non facevano più. Andare a lavorare e poi tornare a casa, stare in famiglia, in pochi, anche a Natale, come in esilio, come straniero che non può tornare al paese, perché al paese ci sono la fame e la guerra.
E quegli sguardi che avremmo dovuto incontrare durante quello spettacolo che non abbiamo potuto fare, li abbiamo cercati in questi mesi d’inverno camminando sotto i portici, sulla Via Emilia, attraversando il mercato, percorrendo le strade di pianura che portano alle frazioni: una barista gentile, una famiglia rumena che gioca a pallone sulla via Emilia la domenica pomeriggio, un giovane parroco che ci ospita un sabato mattina di pioggia ...
Adesso respiro, dietro la mascherina, e guardo con occhi che non avevo prima questa terra diventata straniera. E cerco tracce d’amore da raccogliere come briciole, come perle, come tesori. Cerco messaggi d’amore nelle parole che non conoscevo e comincio oggi a incontrare, nello sguardo che prima mi era straniero e che ora non più.
Regia Stefano Massari
Immagini e montaggio Stefano Massari Carlotta Cicci
Colore e fotografia Carlotta Cicci
Il documentario accompagna e restituisce l’omonimo progetto realizzato per il Comune di Castelfranco Emilia tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021
Il progetto STRANIERI?, un percorso di teatro e cinema che ha raccolto i pensieri, i racconti e le testimonianze dei cittadini fino alla realizzazione del film documentario Stranieri?, fa parte del progetto Ex.stra - Extracomunitari, stranieri, cittadini o ex stranieri.
Il progetto EX.TRA rientra nel progetto Shaping Fair Cities, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma DEAR e ideato e coordinato dalla Regione Emilia – Romagna, con la partecipazione di 17 partner di 8 Paesi europei e 2 Paesi non UE, che mira ad integrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 all’interno delle politiche locali
Con la collaborazione di:
Associazione Arci solidarietà
Associazione Cittadinanza attiva
Associazione Cuore in gamba
Associazione Culturale Islamica
Associazione Dynamis
Associazione La Palma
Centro culturale Almo
Cooperativa Sociale Caleidos
Comunità Indiana
Proloco Castelfranco Emilia
Un particolare ringraziamento a Basma, Bassem, Caterina, Dominique, Esti, Giordano, Lilia, Musa, Rebecca, Rita, Romano, Suman
GRAZIE
a tutte le persone che hanno regalato al film un pensiero, una parola, uno sguardo
e a tutti quelli che ci hanno ospitato
Le cose dovevano andare in un altro modo. Avevamo immaginato di cominciare il progetto agganciando la piccola roulotte di Maurizio alla sua Due Cavalli bianca e partire per le strade di Castelfranco, armati solo di un piccolo megafono rosa. Come si faceva una volta per fare la pubblicità degli spettacoli, delle assemblee, delle feste dell’Unità o della parrocchia. Una macchina che gira per le strade del paese con un altoparlante, le trombe sul tetto e invita i cittadini a partecipare.
Avremmo attraversato il centro di Castelfranco e le frazioni, da Gaggio a Piumazzo, da Rastellino a Recovato, a Manzolino, a Cavazzona, quasi a passo d’uomo, dicendo al megafono rosa: “Domani sera grande spettacolo, nel Giardino dei Campanelli, dietro al Teatro Dadà. Il Teatro delle Ariette presenta IO, IL COUSCOUS E ALBERT CAMUS. Siete tutti invitati a partecipare, lo spettacolo è gratuito. E durante lo spettacolo prepariamo anche il couscous, per voi, da mangiare tutti insieme alla fine. C’è anche l’assemblea alla fine dello spettacolo, per discutere insieme sul significato della parola straniero. Siete tutti invitati, vi aspettiamo”. E le persone si sarebbero fermate a guardare quella macchina con la roulotte dietro avanzare a passo d’uomo. Qualcuno avrebbe puntato lo smartphone e scattato delle fotografie da condividere su Facebook. E anche noi ci saremmo fermati, saremmo scesi dalla macchina e avremmo cominciato a parlare con loro, a fare domande, a dare risposte. In quelle occasioni si parla quasi sempre del più e del meno, di cosa si mangerà a cena, di quello di cui parla lo spettacolo, se facciamo davvero il couscous, delle nostre origini, da dove veniamo. E noi chiediamo: “da quanto tempo vivi a Castelfranco? E prima dove stavi? Perché sei arrivato qui?”.
Il giorno dopo avremmo allestito lo spettacolo nel Giardino dei Campanelli, avremmo accolto gli spettatori, raccontato la nostra storia: la storia vera di Pasqui che quando aveva 17 anni, nel 1978, partiva per la Francia, innamorato, seguendo una ragazza di origine spagnola, e quasi quasi andava a finire che diventava un emigrante, che rimaneva a vivere in Francia per tutta la vita, come uno straniero. Ma poi invece dopo qualche mese tornava a casa e le cose andavano in un altro modo.
Le cose dovevano andare in un altro modo, forse da qualche parte era scritto così.
Chissà, forse nella vita è il caso che determina gli eventi. Una macchina che non parte, un treno in ritardo, un amore che finisce, un malinteso, un virus, e tutto quello che avevamo immaginato, programmato e pensato sfuma, la vita cambia, il corso degli eventi prende un’altra strada, ci porta altrove, in una terra sconosciuta che ci fa sentire stranieri.
È andata così. Niente Due Cavalli con roulotte, niente spettacolo, niente couscous. Teatri e cinema chiusi, bar e ristoranti a mezzo servizio, mascherine e coprifuoco. Tenersi distanti, lontani, stare in casa, al sicuro, evitare contatti con gli sconosciuti. Non uscire dalla casa, dal comune, dalla regione, dallo stato. Sottoporsi a controlli, coprifuoco, autocertificazioni, tamponi, sierologici e mascherine. Tutti stranieri dietro le mascherine. Non riconoscere più i vicini, i conoscenti, a volte nemmeno gli amici. Ritrarre la mano, fare un passo indietro, o di lato e non capire più i codici di comportamento. Fare inutili sorrisi invisibili, vedere gomiti spigolosi che si sfiorano, sentire parole soffocate che non riusciamo più a decifrare, come se parlassimo una lingua straniera. E avere paura, paura, tanta paura di non spiegare, di non capire, di non sapere come fare, come comportarsi, per essere gentili, per non ammalarsi. E stare sempre all’aperto e in piedi, a mangiare, a bere, a chiacchierare, aprire le finestre d’inverno, prendere freddo, vedere i bambini giocare in cortile, nel fango, sotto la pioggia, come non facevano più. Andare a lavorare e poi tornare a casa, stare in famiglia, in pochi, anche a Natale, come in esilio, come straniero che non può tornare al paese, perché al paese ci sono la fame e la guerra.
E quegli sguardi che avremmo dovuto incontrare durante quello spettacolo che non abbiamo potuto fare, li abbiamo cercati in questi mesi d’inverno camminando sotto i portici, sulla Via Emilia, attraversando il mercato, percorrendo le strade di pianura che portano alle frazioni: una barista gentile, una famiglia rumena che gioca a pallone sulla via Emilia la domenica pomeriggio, un giovane parroco che ci ospita un sabato mattina di pioggia ...
Adesso respiro, dietro la mascherina, e guardo con occhi che non avevo prima questa terra diventata straniera. E cerco tracce d’amore da raccogliere come briciole, come perle, come tesori. Cerco messaggi d’amore nelle parole che non conoscevo e comincio oggi a incontrare, nello sguardo che prima mi era straniero e che ora non più.