01/01/2021
LUISA
DI NOTTE, UNA MICIA
Due anni fa, in primavera, è morta la mia micia Purcell, di tredici anni. Aveva un tumore che le schiacciava i polmoni. Selvaggia, non veniva mai a farsi accarezzare. Nel periodo della malattia non stava più in campagna, lontano da casa, ma si era riavvicinata, e stava nella legnaia di Franco. Di notte dormivo poco, e la spiavo dalla finestra, con l'angoscia di non riuscirla a catturare il giorno dopo. Andavo in bagno e la spiavo. La trovavo allungata sui pezzi di legna, per respirare meglio. Oppure si metteva dentro una cassetta piccolissima, forse per tenere sollevati intestino e polmoni. Guardava fisso davanti a sé. Non mi ha mai vista, avrebbe dovuto sollevare lo sguardo.
DI NOTTE, UN BACIO
Il primo bacio che ci siamo dati io e Franco, il 17 agosto del 2003, è accaduto sul balcone di casa mia, a Castelnuovo, mentre eravamo seduti su una pedana rotta, di quelle che si fanno con gli stracci. Ascoltavamo gli Intillimani, col mio stereo mezzo rotto. Avevamo la pancia piena di tigelle mangiate alla trattoria Tonozzi in località Siberia. Le verdure non le avevamo mangiate, ma portate a casa con noi. Era l'estate in cui il caldo non ci abbandonò mai da maggio a settembre.
DI GIORNO, LE VISITE
Si sa che una donna non può, secondo la tradizione delle nostre parti, essere la prima persona che entra in una casa per fare gli auguri il primo giorno dell'anno. Non mi era mai piaciuta questa storia. Diversi anni fa con Franco, riottoso per la sua timidezza, siamo partiti con l’auto il primo giorno dell'anno, nel primo pomeriggio, per andare a trovare amici e parenti, senza preavviso. È stato bellissimo. Chi c'era, ci ha accolti, chi non c'era si è poi dispiaciuto di non essere stato a casa. Non l'abbiamo più fatto. La tecnologia digitale, mi dicono tutti, è così comoda.
DI GIORNO, QUESTA PRIMAVERA
Questa primavera, durante la clausura per il covid, mi riposavo dal computer dove scrivevo e ricevevo mail, andando in campagna, nel pomeriggio. Prendevo la coperta della mamma di Barbara, con disegni verdi geometrici, un libro, gli occhiali, il cappellino, il telefono, casomai qualcuno si facesse vivo, una bottiglia d'acqua. Stavo lì, sdraiata, a guardare le persone che passavano in strada per le camminate della salute vicino a casa. Quante persone passavano, non ne avevo mai viste tante in quella stretta via di campagna. Tendevo lo sguardo perché mi salutassero e magari, da lontano, avessero voglia di scambiare qualche parola. Mi sentivo un'adescatrice. Ma non ho adescato nessuno, se non la vicina, che stando lontana, mi chiedeva se poteva prendere le bietole cresciute selvatiche nel prato. Veniva sempre con me il mio grosso gatto rosso e si metteva sul libro se osavo leggerlo, poi si sdraiava come un amante che aspettava carezze. Quando decidevo di tornare a casa, lui si metteva al centro della coperta e faceva resistenza passiva con tutto il suo peso e uno sguardo pietrificato. Non voleva che ce ne andassimo. Piegata la coperta e fiaccata la sua ostinazione, andavo a casa e lui mi correva davanti, e mi rimproverava, con lunghi miagolii. Ma il giorno dopo eravamo di nuovo insieme. Così è stato, per due mesi. Quasi una gioia perfetta.
LE VOSTRE RISPOSTE A "DI NOTTE"
30/12/2020 CRISTOPHE - LE LUP
30/12/2020 PAOLA
30/12/2020 MAURIZIO
30/12/2020 VALERIA
30/12/2020 MARIOLINA - IL LUPO...IL BACIO
30/12/2020 LORETTA
30/12/2020 ROBERTA
30/12/2020 TAMARA
30/12/2020 EDNA
31/12/2020 NOEMI
01/01/2021 LUISA
01/01/2021 VALENTINA - Prima di che ...
01/01/2021 DANIELA
02/01/2021 MATILDE
03/01/2021 MARIA AGNESE
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Due anni fa, in primavera, è morta la mia micia Purcell, di tredici anni. Aveva un tumore che le schiacciava i polmoni. Selvaggia, non veniva mai a farsi accarezzare. Nel periodo della malattia non stava più in campagna, lontano da casa, ma si era riavvicinata, e stava nella legnaia di Franco. Di notte dormivo poco, e la spiavo dalla finestra, con l'angoscia di non riuscirla a catturare il giorno dopo. Andavo in bagno e la spiavo. La trovavo allungata sui pezzi di legna, per respirare meglio. Oppure si metteva dentro una cassetta piccolissima, forse per tenere sollevati intestino e polmoni. Guardava fisso davanti a sé. Non mi ha mai vista, avrebbe dovuto sollevare lo sguardo.
DI NOTTE, UN BACIO
Il primo bacio che ci siamo dati io e Franco, il 17 agosto del 2003, è accaduto sul balcone di casa mia, a Castelnuovo, mentre eravamo seduti su una pedana rotta, di quelle che si fanno con gli stracci. Ascoltavamo gli Intillimani, col mio stereo mezzo rotto. Avevamo la pancia piena di tigelle mangiate alla trattoria Tonozzi in località Siberia. Le verdure non le avevamo mangiate, ma portate a casa con noi. Era l'estate in cui il caldo non ci abbandonò mai da maggio a settembre.
DI GIORNO, LE VISITE
Si sa che una donna non può, secondo la tradizione delle nostre parti, essere la prima persona che entra in una casa per fare gli auguri il primo giorno dell'anno. Non mi era mai piaciuta questa storia. Diversi anni fa con Franco, riottoso per la sua timidezza, siamo partiti con l’auto il primo giorno dell'anno, nel primo pomeriggio, per andare a trovare amici e parenti, senza preavviso. È stato bellissimo. Chi c'era, ci ha accolti, chi non c'era si è poi dispiaciuto di non essere stato a casa. Non l'abbiamo più fatto. La tecnologia digitale, mi dicono tutti, è così comoda.
DI GIORNO, QUESTA PRIMAVERA
Questa primavera, durante la clausura per il covid, mi riposavo dal computer dove scrivevo e ricevevo mail, andando in campagna, nel pomeriggio. Prendevo la coperta della mamma di Barbara, con disegni verdi geometrici, un libro, gli occhiali, il cappellino, il telefono, casomai qualcuno si facesse vivo, una bottiglia d'acqua. Stavo lì, sdraiata, a guardare le persone che passavano in strada per le camminate della salute vicino a casa. Quante persone passavano, non ne avevo mai viste tante in quella stretta via di campagna. Tendevo lo sguardo perché mi salutassero e magari, da lontano, avessero voglia di scambiare qualche parola. Mi sentivo un'adescatrice. Ma non ho adescato nessuno, se non la vicina, che stando lontana, mi chiedeva se poteva prendere le bietole cresciute selvatiche nel prato. Veniva sempre con me il mio grosso gatto rosso e si metteva sul libro se osavo leggerlo, poi si sdraiava come un amante che aspettava carezze. Quando decidevo di tornare a casa, lui si metteva al centro della coperta e faceva resistenza passiva con tutto il suo peso e uno sguardo pietrificato. Non voleva che ce ne andassimo. Piegata la coperta e fiaccata la sua ostinazione, andavo a casa e lui mi correva davanti, e mi rimproverava, con lunghi miagolii. Ma il giorno dopo eravamo di nuovo insieme. Così è stato, per due mesi. Quasi una gioia perfetta.
LE VOSTRE RISPOSTE A "DI NOTTE"
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