05/12/2020
LA PAURA DEL VUOTO
PASQUI
Qualche anno fa, attorno a ferragosto, io e Paola siamo andati due giorni a Borca di Cadore a trovare mio fratello Luca, sua moglie Martina e i figli Pietro e Tommaso che erano in vacanza lì.
Su richiesta dei miei nipoti avevamo portato anche Tea, la nostra cagnolina. Ai bambini e ai ragazzi piacciono molto gli animali. Il programma della giornata prevedeva una lunga camminata sui sentieri delle Dolomiti, il pranzo in un rifugio e il ritorno a casa prima del tramonto. Il percorso era stato scelto da Luca tenendo conto della mia paura, ma arrivati a un certo punto del sentiero stavo talmente male, per me e per loro, che mi sono dovuto fermare. Mi sono seduto per terra sul fianco della montagna, lontano dal burrone, e ho detto agli altri che potevano proseguire. Io mi sono fermato lì, con la nostra cagnolina. Sono rimasto a guardare il cielo, la montagna e la valle di fronte fino al loro ritorno.
Soffro di vertigini, ma non so quando è cominciato.
Nell’autunno del 2000, quando con Ferro inchiodavo le assi sul tetto del Deposito senza alcuna protezione non avevo paura. Guardare in basso da sei, sette, dieci metri di altezza non mi fa nessuna impressione, neanche adesso. Salgo spesso sul tetto di casa per sistemare i coppi che d’inverno vengono spostati dalla neve.
Di conseguenza comincio a pensare che quello che mi spaventa non sia l’altezza, ma il vuoto.
La mia vertigine diventa potentissima su una scogliera o su una montagna, addirittura sulla sommità dei calanchi che sono così familiari alle Ariette. Non posso avvicinarmi allo strapiombo. Se qualcuno si avvicina al vuoto, anche uno sconosciuto, devo girarmi dall’altra parte. Perché quel vuoto chiama, chiede di essere colmato, se mi avvicino mi devo buttare.
Stando qualche passo indietro dal burrone riesco a guardare il vuoto. Quando guardo il vuoto mi sento sospeso, in pausa, come se fossi in “stand by”. È una specie di eternità senza azioni.
Quella cosa che hanno chiamato lockdown, nei mesi di marzo e di aprile, mi ha riportato lì, in quella zona buia, sull’orlo del precipizio. Mi ha riportato di fronte alla mia paura-attrazione del vuoto. Ho sentito la calamita chiamarmi verso il nulla. Ho cominciato a sentire il corpo che si distendeva in un silenzio mai sentito, che mi riportava indietro nel tempo, un tempo in cui non ero ancora nato. Ho ricominciato a respirare. Una specie di gioia di essere di nuovo vivo mi ha invaso e mi ha fatto sentire davvero fratello dei funghi e dei cani.
E sono scomparso. Mi sono sciolto, prima raccogliendo cicorie e legna secca, seminando patate, zappando l’argilla e spalando il letame, poi cuocendo pane, pasta e fagioli, infine scrivendo e dicendo parole, facendo spettacoli e incontrando persone, sempre con Paola, perché senza di lei non sarebbe il mio corpo, sarei mutilato di quel pezzo diverso da me che è un pezzo di me.
E sono stato bene, tanto da immaginare in quei mesi un futuro più umano, più luminoso.
Adesso è diverso.
Il mondo ha preso una strada. Io non l’ho scelta. Ci è stata proposta.
Quando sarà finita, tutto tornerà come prima.
Ma io so che indietro non si torna, non si può essere contemporaneamente ciò che si è e ciò che si è stati.
Vado spesso al mulino a macinare il grano che coltiviamo alle Ariette. Una volta macinato il chicco diventa farina, ma la farina non torna mai chicco, come il pane non torna farina, un vecchio non torna giovane e un giovane diventa vecchio senza volerlo. Nella vita non esiste rewind, quando la metti su, la canzone va fino alla fine e dura il tempo che dura. Punto.
Io non so come andrà a finire. Non so quello che è giusto o sbagliato. Sono pieno di dubbi, ma non mi vergogno di dire che non ce la faccio davvero a proseguire il sentiero.
Mi fermo sul fianco della montagna, con Paola, a guardare il cielo. E aspetto.
Ho scelto di aspettare, ma non aspetto un ritorno. Chi ha continuato il sentiero ha già preso una strada che a me fa paura. Io non posso prenderla quella strada, non riesco a prenderla, forse non voglio.
Io mi fermo, e aspetto che davanti a me, o di fianco, o di sotto, si mostri un altro cammino adatto al mio cuore e a quello di Paola.
E l’attesa è vita, è tempo che pulsa, è fedeltà a sé stessi, a tutto quello che si è cominciato spontaneamente, ai propri momenti migliori…
PAOLA
E l’attesa non è vuota, è piena di tante azioni che sono la nostra vita.
Nella vita ci sono delle cose da fare, comunque, che a volte ci piacciono, a volte no, ma sono da fare. Mia madre, Teresa, me lo diceva sempre. E sono azioni importanti, ma semplici, per questo le diamo oramai per scontate.
Prepararsi il cibo è da fare.
Mangiare è da fare.
Dormire è da fare.
Lavare i propri indumenti è da fare.
Accudire i propri animali e le proprie piante è da fare.
Curare il proprio corpo è da fare.
Curare il proprio spirito è da fare.
Pulire la propria casa è da fare.
L’attesa mi è utile per ascoltare e riflettere, scoprire nuove strade, farmi sorprendere da percorsi che mai avrei immaginato. È come l’ispirazione per un’artista, non la puoi forzare, non puoi pensare solo di volerla, devi aspettare ed essere pronto ad accoglierla, se e quando arriva.
La mia paura del vuoto è la paura del tempo.
Ho davanti una giornata e devo riempirla, tutta, in anticipo.
Faccio lunghi elenchi di cose che devo fare, sapendo che non potrò farle tutte in un giorno, che dovrò rimandarle e di giorno in giorno le cose da fare si accumulano.
Non appena l’elenco delle cose da fare diminuisce mi sento bene, sono soddisfatta, ma subito rispunta la necessità di riempiere quell’elenco, di trovare altre cose da fare.
E la frustrazione aumenta in questa rincorsa infinita di riempire il tempo che sfugge a ogni controllo.
Devo imparare l’attesa.
LE VOSTRE RISPOSTE A "LA PAURA DEL VUOTO"
05/12/2020 FRANCESCA - GRAZIE...
05/12/2020 NOEMI
05/12/2020 CAMILLA
05/12/2020 GIULIANO - A Pasqui, Paola e al Teatro delle Ariette.
05/12/2020 GRETA
05/12/2020 PIERLUIGI
05/12/2020 CLAUDIA
05/12/2020 NERIO
05/12/2020 CARLA - PAURA DEL VUOTO
05/12/2020 GRETA - PAROLE NUOVE
05/12/2020 ILVA
05/12/2020 IRENE
05/12/2020 RAFFAELLA - RISPOSTA ALL'APPELLO!
05/12/2020 DUILIO
05/12/2020 DANIELA - MI MANCATE
06/12/2020 FERRO - UN GRANDE ABBRACCIO. FERRO
06/12/2020 STEFANO - IL BLUES DEL FONDITORE
06/12/2020 ANDREA
07/12/2020 ELIA
07/12/2020 LAURA
07/12/2020 DUILIO
08/12/2020 MARIA GIULIA - RISPONDENDO
08/12/2020 GERMANA - VI RISPONDO VOLENTIERI!
08/12/2020 VALENTINA - Risposta a La paura del vuoto di Valentina
08/12/2020 BARBARA - LIBRO DI LUISA
09/12/2020 MARCO
09/12/2020 DONATELLA - LIBRO DI LUISA
12/12/2020 LUISA
13/12/2020 STEFANIA
14/12/2020 ROSSELLA - UNA QUESTIONE DI RITMO
17/12/2020 VALENTINA - SALUTI DA PARIGI
18/12/2020 ANDREA
PASQUI
Qualche anno fa, attorno a ferragosto, io e Paola siamo andati due giorni a Borca di Cadore a trovare mio fratello Luca, sua moglie Martina e i figli Pietro e Tommaso che erano in vacanza lì.
Su richiesta dei miei nipoti avevamo portato anche Tea, la nostra cagnolina. Ai bambini e ai ragazzi piacciono molto gli animali. Il programma della giornata prevedeva una lunga camminata sui sentieri delle Dolomiti, il pranzo in un rifugio e il ritorno a casa prima del tramonto. Il percorso era stato scelto da Luca tenendo conto della mia paura, ma arrivati a un certo punto del sentiero stavo talmente male, per me e per loro, che mi sono dovuto fermare. Mi sono seduto per terra sul fianco della montagna, lontano dal burrone, e ho detto agli altri che potevano proseguire. Io mi sono fermato lì, con la nostra cagnolina. Sono rimasto a guardare il cielo, la montagna e la valle di fronte fino al loro ritorno.
Soffro di vertigini, ma non so quando è cominciato.
Nell’autunno del 2000, quando con Ferro inchiodavo le assi sul tetto del Deposito senza alcuna protezione non avevo paura. Guardare in basso da sei, sette, dieci metri di altezza non mi fa nessuna impressione, neanche adesso. Salgo spesso sul tetto di casa per sistemare i coppi che d’inverno vengono spostati dalla neve.
Di conseguenza comincio a pensare che quello che mi spaventa non sia l’altezza, ma il vuoto.
La mia vertigine diventa potentissima su una scogliera o su una montagna, addirittura sulla sommità dei calanchi che sono così familiari alle Ariette. Non posso avvicinarmi allo strapiombo. Se qualcuno si avvicina al vuoto, anche uno sconosciuto, devo girarmi dall’altra parte. Perché quel vuoto chiama, chiede di essere colmato, se mi avvicino mi devo buttare.
Stando qualche passo indietro dal burrone riesco a guardare il vuoto. Quando guardo il vuoto mi sento sospeso, in pausa, come se fossi in “stand by”. È una specie di eternità senza azioni.
Quella cosa che hanno chiamato lockdown, nei mesi di marzo e di aprile, mi ha riportato lì, in quella zona buia, sull’orlo del precipizio. Mi ha riportato di fronte alla mia paura-attrazione del vuoto. Ho sentito la calamita chiamarmi verso il nulla. Ho cominciato a sentire il corpo che si distendeva in un silenzio mai sentito, che mi riportava indietro nel tempo, un tempo in cui non ero ancora nato. Ho ricominciato a respirare. Una specie di gioia di essere di nuovo vivo mi ha invaso e mi ha fatto sentire davvero fratello dei funghi e dei cani.
E sono scomparso. Mi sono sciolto, prima raccogliendo cicorie e legna secca, seminando patate, zappando l’argilla e spalando il letame, poi cuocendo pane, pasta e fagioli, infine scrivendo e dicendo parole, facendo spettacoli e incontrando persone, sempre con Paola, perché senza di lei non sarebbe il mio corpo, sarei mutilato di quel pezzo diverso da me che è un pezzo di me.
E sono stato bene, tanto da immaginare in quei mesi un futuro più umano, più luminoso.
Adesso è diverso.
Il mondo ha preso una strada. Io non l’ho scelta. Ci è stata proposta.
Quando sarà finita, tutto tornerà come prima.
Ma io so che indietro non si torna, non si può essere contemporaneamente ciò che si è e ciò che si è stati.
Vado spesso al mulino a macinare il grano che coltiviamo alle Ariette. Una volta macinato il chicco diventa farina, ma la farina non torna mai chicco, come il pane non torna farina, un vecchio non torna giovane e un giovane diventa vecchio senza volerlo. Nella vita non esiste rewind, quando la metti su, la canzone va fino alla fine e dura il tempo che dura. Punto.
Io non so come andrà a finire. Non so quello che è giusto o sbagliato. Sono pieno di dubbi, ma non mi vergogno di dire che non ce la faccio davvero a proseguire il sentiero.
Mi fermo sul fianco della montagna, con Paola, a guardare il cielo. E aspetto.
Ho scelto di aspettare, ma non aspetto un ritorno. Chi ha continuato il sentiero ha già preso una strada che a me fa paura. Io non posso prenderla quella strada, non riesco a prenderla, forse non voglio.
Io mi fermo, e aspetto che davanti a me, o di fianco, o di sotto, si mostri un altro cammino adatto al mio cuore e a quello di Paola.
E l’attesa è vita, è tempo che pulsa, è fedeltà a sé stessi, a tutto quello che si è cominciato spontaneamente, ai propri momenti migliori…
PAOLA
E l’attesa non è vuota, è piena di tante azioni che sono la nostra vita.
Nella vita ci sono delle cose da fare, comunque, che a volte ci piacciono, a volte no, ma sono da fare. Mia madre, Teresa, me lo diceva sempre. E sono azioni importanti, ma semplici, per questo le diamo oramai per scontate.
Prepararsi il cibo è da fare.
Mangiare è da fare.
Dormire è da fare.
Lavare i propri indumenti è da fare.
Accudire i propri animali e le proprie piante è da fare.
Curare il proprio corpo è da fare.
Curare il proprio spirito è da fare.
Pulire la propria casa è da fare.
L’attesa mi è utile per ascoltare e riflettere, scoprire nuove strade, farmi sorprendere da percorsi che mai avrei immaginato. È come l’ispirazione per un’artista, non la puoi forzare, non puoi pensare solo di volerla, devi aspettare ed essere pronto ad accoglierla, se e quando arriva.
La mia paura del vuoto è la paura del tempo.
Ho davanti una giornata e devo riempirla, tutta, in anticipo.
Faccio lunghi elenchi di cose che devo fare, sapendo che non potrò farle tutte in un giorno, che dovrò rimandarle e di giorno in giorno le cose da fare si accumulano.
Non appena l’elenco delle cose da fare diminuisce mi sento bene, sono soddisfatta, ma subito rispunta la necessità di riempiere quell’elenco, di trovare altre cose da fare.
E la frustrazione aumenta in questa rincorsa infinita di riempire il tempo che sfugge a ogni controllo.
Devo imparare l’attesa.
LE VOSTRE RISPOSTE A "LA PAURA DEL VUOTO"
05/12/2020 FRANCESCA - GRAZIE...
05/12/2020 NOEMI
05/12/2020 CAMILLA
05/12/2020 GIULIANO - A Pasqui, Paola e al Teatro delle Ariette.
05/12/2020 GRETA
05/12/2020 PIERLUIGI
05/12/2020 CLAUDIA
05/12/2020 NERIO
05/12/2020 CARLA - PAURA DEL VUOTO
05/12/2020 GRETA - PAROLE NUOVE
05/12/2020 ILVA
05/12/2020 IRENE
05/12/2020 RAFFAELLA - RISPOSTA ALL'APPELLO!
05/12/2020 DUILIO
05/12/2020 DANIELA - MI MANCATE
06/12/2020 FERRO - UN GRANDE ABBRACCIO. FERRO
06/12/2020 STEFANO - IL BLUES DEL FONDITORE
06/12/2020 ANDREA
07/12/2020 ELIA
07/12/2020 LAURA
07/12/2020 DUILIO
08/12/2020 MARIA GIULIA - RISPONDENDO
08/12/2020 GERMANA - VI RISPONDO VOLENTIERI!
08/12/2020 VALENTINA - Risposta a La paura del vuoto di Valentina
08/12/2020 BARBARA - LIBRO DI LUISA
09/12/2020 MARCO
09/12/2020 DONATELLA - LIBRO DI LUISA
12/12/2020 LUISA
13/12/2020 STEFANIA
14/12/2020 ROSSELLA - UNA QUESTIONE DI RITMO
17/12/2020 VALENTINA - SALUTI DA PARIGI
18/12/2020 ANDREA