30/12/2020
DI NOTTE


Aspettare è bello, ma sentiamo anche il bisogno di reagire in qualche modo.
Discutiamo da sempre dell’avanzata inarrestabile della tecnologia, del posto che sta prendendo nelle nostre vite. Ci domandiamo quanto spazio è rimasto per le nostre mani e i nostri pensieri.
Da ragazzi c’era Pannella che difendeva le cause perse facendo lo sciopero della fame e così, approfittando delle feste di Natale, pensiamo a uno sciopero della tecnologia. Uno sciopero impossibile. Ci rendiamo subito conto che è molto più facile stare senza mangiare che senza elettricità e pensiamo ragionevolmente di accontentarci di una semplice riduzione del suo uso, di tenere chiusi i computer e la televisione più spesso, di passare più tempo fuori casa, all’aperto, anche col freddo e la pioggia.
È tanto che vogliamo passare una notte in mezzo ai campi per incontrare gli animali che di notte attraversano le Ariette mangiando qualcosa di quello che abbiamo seminato o andando oltre.
Nei campi adesso c’è il grano che abbiamo messo in ottobre, bello, verde, c’è l’erba medica e il prato.
E poi abbiamo voglia di stare in mezzo ai campi nel silenzio della notte, nel buio della notte, illuminato solo da qualche stella e dal riverbero di qualche luce lontana, una casa, la stalla delle mucche.
Decidiamo di costruire una piccola cuccia sul lato più protetto del teatro, sotto la tettoia della legna, di fianco alla roulotte, con cuscini e tante coperte, per passarci la notte.
Ma prima di accucciarci camminiamo lungo il confine dei campi fino al teatro all’aperto, nel punto più alto delle Ariette, dove quest’estate abbiamo fatto “E riapparvero gli animali”.
Ci teniamo per mano, le nuvole coprono la luna, ma abituati all’oscurità, si vede tutto, si vedono i contorni delle cose. Fa freddo, tutto è tranquillo.
Imbocchiamo il filare di noccioli. “Che bello, siamo stati proprio bravi a sistemarlo in marzo, senza il lockdown non ce l’avremmo mai fatta” ci diciamo, e d’improvviso appaiono in fondo al filare due occhi grandi, luminosi, altezza cane, immobili.
Ci stringiamo la mano e ci guardiamo, sorpresi, contenti, eccitati dal mistero.
Un cinghiale, no, avremmo dovuto sentire qualche grugnito. Un capriolo, no, non sembra. Un cane, un lupo. E se fosse davvero un lupo?
Senza dire nulla facciamo ancora qualche passo. Non bisogna dimostrare di avere paura e nello stesso tempo non si può sfidare la sorte.
Ieri sera abbiamo visto un film sulla caduta di Hitler. A una segretaria che era nel bunker e che stava cercando di scappare da Berlino in fiamme dicono di camminare a testa bassa senza mai guardare i russi in faccia, evitando lo sguardo e il contatto.
Forse dobbiamo fare così. Intanto però bisogna capire cos’è, dobbiamo fare ancora qualche passo. Sì è un lupo, ha lo stesso sguardo profondo e inquietante di quello che vedemmo quasi trenta anni fa, lungo via Rio Marzatore, appena arrivati alle Ariette. Ci siamo chiesti per tanto tempo se fosse davvero un lupo. Adesso diciamo sì, era un lupo.
È a quattro/cinque metri.
Immobili, noi e lui, il cuore calmo. Sorpresa, mistero.
Siamo onorati della sua presenza, ma come bambini inesperti non sappiamo come ci si comporta in questi casi.
Ci stringiamo la mano, ci guardiamo. Poi con naturalezza, senza parlare, quasi senza muoverci, ruotando semplicemente i nostri corpi e avvicinando le nostre bocche, ci baciamo.
Le labbra sono morbide e fresche, si muovono l’una contro l’altra dolcemente, si sfiorano, si allontanano e poi si avvicinano ancora, una dentro l’altra. Un bacio lungo, eterno, il bacio più lungo della nostra vita.
Il lupo ci passa di fianco con un passo felpato, quasi non ci volesse disturbare, sentiamo i suoi passi sul tappeto di foglie e poi nulla.
Il lupo scompare.

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