Cari Paola e Stefano, che meraviglia questo racconto, mi sono venuti i brividi! Vi leggo sempre ed ogni volta mi commuove il vostro essere profondamente connessi con la vostra autenticità, un unicuum di vita, natura, teatro, in un legame tra voi che si è fatto solido come la vostra terra.
Si, dobbiamo saper aspettare, ma questa volta è diverso dal primo lockdown, c'è meno speranza, meno fiducia che sia un’occasione perché qualcosa cambi. Allora si facevano pensieri che poi questa normalità non era tanto normale, allora la sensazione che si stava vivendo tutti la stessa tragedia rafforzava il senso di comunità. Ricordo, ed ogni tanto li rileggo, la quantità di wattsapp che ci si mandava tra amiche per testimoniarci l'affetto ed il desiderio di rivederci presto. Ora siamo più soli, forse più disincantati. Ci si è resi conto che quel " ci dovevamo fermare" non sembra possibile, che la nave deve andare avanti, costi quel che costi... Rispetto alle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, noi siamo la prima generazione, qui nel nostro Occidente, che non aveva ancora vissuto l'esperienza della privazione, del sacrificio, della rinuncia. Vivevamo il più e non il meno. Certo, io parlo da privilegiata, ho una casa, sono andata in pensione, non ho problemi di sopravvivenza. E però, con pudore, dico che ho un senso di implosione, che mi manca la vita, che per me che vivo in città, la vita non sono solo i negozi aperti, ma andare al cinema, a teatro, agli incontri con l'autore, alle piccole mostre, ai tanti eventi culturali che anche una provincia sa organizzare, e che mi nutrono l'anima e mi fanno sentire in una comunità. Mi nutro di letture ma neanche troppo perché il mio corpo sta fermo, seduto, troppo. In questo momento non ha senso vivere in città, invidio il potere accogliente e rassicurante della vostra natura.
un abbraccio grande che vorrebbe contenere tante cose, anche gli auguri per un Nuovo Anno!
Mariolina Coppola

LE VOSTRE RISPOSTE A "DI NOTTE"

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