17.04.2014
STEFANO PASQUINI

Carissimi,
tra le tante cose da fare ho comunque trovato il tempo di riflettere sul nostro incontro del 23 marzo. Ho ripensato a quello che ci siamo detti. Il tempo pulisce le scorie e ho conservato dell'incontro un'immagine più netta: un tema che vorrei proporre alla vostra riflessione per rilanciare un nuovo incontro.
Mi sono accorto che abbiamo parlato di teatro (e non solo) dando a questa parola il giusto significato di evento teatrale, di opera, quindi di azione, senza preoccuparci dell'altro significato di questa parola: il luogo dove l'evento avviene.
È stato un bene, noi non facciamo confusione, sappiamo bene che l'evento e il luogo sono tutt'uno, ma molto spesso non è così. È su questo che vi chiedo di riflettere.
Troppo spesso fare teatro significa produrre qualcosa da far entrare in un contenitore prestabilito, fatto di poltroncine, sala, palco, platea, luce artificiale, misure, capienza, orari, grandi strutture, tecnici, amministratori ecc...
Sempre più raramente il Teatro abita questi luoghi.
Anche Edoardo che lavora al Metastasio, per il suo festival mica utilizza il teatro! Qualcuno sta sotto una cupola, qualcuno in un deposito attrezzi in mezzo alla campagna, qualcuno va in giro cavalcando un cavallo di cartapesta...
Eppure noi, per fare Teatro, non abbiamo quasi bisogno di niente. Soprattutto non abbiamo bisogno di strutture pesanti, rigide, soffocanti. Abbiamo bisogno di tempo, di libertà, elasticità, leggerezza e un po' di denaro. Niente in confronto alle esigenze delle Grandi Strutture.
Vorrei denunciare questo ribaltamento di senso: le necessità del Teatro non sono le necessità di quelle grandi strutture che pensano solo alla loro autoconservazione. Il Teatro non esiste in funzione a loro. Queste strutture divorano una fetta enorme delle risorse e non sono mai sazie, imprigionano il Teatro nella loro gabbia, come si imprigionano i canarini, i pappagalli, i leoni...
Cosa gliene importa degli spettatori? Sono numeri! E del Teatro? Materia prima! Dei teatranti? Carne da macello!
Perché il Teatro, i Teatranti e gli Spettatori possano ancora esistere e incontrarsi abbiamo bisogno di libertà, di cambiare i modi e i tempi di produzione, rifiutare i turni di catena di montaggio 3 x 8 perché le macchine sono lì che ci aspettano, e dobbiamo affermare che il Teatro fiorisce lontano dai macigni delle Grandi Strutture e della burocrazia, fiorisce nei luoghi, nei tempi e nei modi più umani, quando c'è rischio, cura e desiderio, quando non c'è altro fine, se non il teatro stesso.
L'arte sono le azioni della vita quotidiana. I teatri sono vuoti, il Teatro è dentro di noi.
Avete voglia di ritrovarci a parlare di questo? Vi invitiamo a un pranzo alle Ariette domenica 29 giugno alle ore 13.


Stefano