20.05.2014
TATIANA VITALI
Come pizzica il cous cous!
Pensieri in libertà su "Io, il cous cous e Albert Camus" e "Il teatro, i teatranti e gli spettatori", spettacolo e chiacchierata al Teatro delle Ariette.

Qualche tempo fa ho avuto il piacere di partecipare a uno spettacolo di narrazione diverso dagli altri, presso il Teatro delle Ariette. Lo spettacolo, "Io, il cous cous e Albert Camus" era basato su un testo di Camus, uno scrittore che avevo solo sentito nominare ma che non avevo mai letto. Era uno spettacolo interattivo in cui gli attori, professionisti molto bravi, facevano partecipare il pubblico. Gli attori erano marito e moglie, loro hanno fondato questa compagnia. Appena arrivati ci hanno fatto mettere tutti seduti in cerchio intorno a due tavoli per avere una visione completa dello spettacolo. L'altra cosa interessante è che in questo spettacolo non c'era un vero e proprio palco, attori e spettatori erano sullo stesso piano, sullo stesso livello, partecipavano insieme alla creazione e allo sviluppo dello spettacolo. Non mi era mai capitato che un attore mi chiedesse di dover tagliare delle verdure che poi, ho scoperto dopo, servivano per il cous cous che avremmo dovuto mangiare, all'inizio non capivo perché ci facevano fare quest'attività. In realtà questo era uno spettacolo che comprendeva anche la possibilità di rimanere a pranzo, ecco perché il cous cous, un elemento che faceva proprio parte dello spettacolo. Questo spettacolo raccontava da una parte una storia autobiografica, quella del viaggio di formazione, sospeso tra Francia, Spagna, Algeria e una parte della storia di Camus, di cui gli attori rappresentavano alcune esperienze di vita. Durante lo spettacolo gli attori avevano la capacità di farci entrare direttamente nel mondo dello scrittore. Si respirava un clima di calore e il pubblico era coinvolto direttamente all'interno della storia, come se si svolgesse in quel momento. Alcune volte leggevano alcuni brani, tratti dal libro più famoso di Camus "Lo straniero". Penso che sia stato un modo originale per farci capire meglio l'esperienza di questo protagonista. Dopo lo spettacolo abbiamo mangiato tutti insieme il cous cous e penso che sia stato un modo per conoscerci di più e condividere quello che si è visto.
Dopo pranzo c'è stata una chiacchierata informale sul teatro dove ognuno di noi si è presentato e ha spiegato cosa fa e le sue esperienze con il teatro. Noi abbiamo parlato di come sono nati il progetto "La Quinta Parete. Lo spettatore è uno sguardo che racconta" e "Cultura Libera Tutti" e il motivo per cui sono nati, cioè quello di avere la possibilità di vedere una persona disabile all'interno degli spazi teatrali come pubblico attivo e non come pubblico passivo e aprirci così a nuove esperienze. Prima di iniziare questo progetto infatti non sapevo bene che cosa scegliere a teatro, ero una spettatrice davvero passiva, nel senso che, come poi fanno in tanti, guardavo lo spettacolo senza rendermi conto di tutto quello che ci poteva essere dietro, poi, per esempio, non sapevo che cosa fosse o non fosse uno spettacolo di narrazione, adesso invece conosco certe differenze e tutto questo è stato possibile grazie a questi nuovi incontri, è stata un'opportunità anche per entrare in contatto con gli artisti e per capire come funziona lo spettacolo stesso. Di solito noi come gruppo ci riuniamo dopo lo spettacolo (e anche prima di andarlo a vedere) per discuterne e capire di cosa si è parlato, la scenografia, gli attori per poi lavorarci su con degli esercizi di scrittura creativa rispetto a quello che lo spettacolo ha o non ha risvegliato in noi, un modo per esercitare le nostre opinioni. Questo progetto non è utile solo per lo spettatore disabile ma anche per mostrare al resto del pubblico che incrociamo a teatro che le persone disabili possono essere presenti in società, anche se devo ammettere che quando andiamo a teatro noi come gruppo facciamo un po' di scompiglio perché dobbiamo, per esempio, far spostare le persone per raggiungere il nostro posto e escogitare, di volta in volta, modi creativi e giocosi per farlo, perché la disabilità invita anche a questo e non c'è da averne paura.
Nella discussione si parlava anche di come poter migliorare il teatro e permettere a tutte le persone di accedervi anche facendo delle formazioni dedicate agli studenti delle scuole. Si parlava anche di migliorare l'accessibilità culturale per tutti e non stupirsi di vedere un disabile a teatro e imparare a scegliere cosa vedere e non vedere, un lavoro che si può fare molto meglio con un contatto diretto con gli artisti. Ad un certo punto si è aperto un dialogo molto acceso sul concetto di opera e di pubblico, non ho capito bene le ragioni di tale discussione, mi è sembrato che i relatori parlassero soprattutto delle loro esperienze private e mi chiedo se anche il resto del pubblico lo abbia percepito o meno. Un'altra cosa che mi ha fatto un po' specie è che di solito i convegni, non solo nei momenti di pausa, la mia presenza desta sempre molte domande, dubbi e perplessità anche solo per semplice curiosità o per il mio aspetto fisico. Qui è successo solo parzialmente, mi chiedo perché e ve lo lancio come provocazione. Gli artisti, mi sono chiesta, le hanno viste davvero tutte? Ho pensato a una frase di Antonio Tarantino, un drammaturgo di cui mi ha parlato Lucia e che un giorno ha detto: "Oggi non c'è più niente che dia scandalo, non è più il tempo della provocazione ma della penetrazione, della comprensione. È tempo di essere all'altezza di essere uomini, umani e aperti alla socialità". Mica male!
Grazie a tutti