04/12/2020
VALENTINA
vi scrivo una lettera perché vorrei mandarvi qualcosa di tangibile.
Mattina, apro gli scuri della finestra e vedo la campagna nella foschia, la terra è ben arata e le tre piccole querce al di là della strada, verdi fino a pochi giorni fa, sono finalmente ingiallite fino al color ruggine. Una ghiandaia vola giù dalla quercia: la striscietta grigio-azzurra sulla sua ala mi è più vicina ciò che esce dal computer, dal cellulare, dalla televisione. Meno male. Ci sono la ghiandaia ed il merlo dal becco giallo, ed i semi di girasole spigolati dal campo da potergli offrire per tutto l’inverno.
Sono a casa, perché come dite voi questo lavoro non si può fare. Quest’estate niente chiamata dall’Arena di Verona, come per molti altri lavoratori dello spettacolo in tutte le Fondazioni. A settembre invece, dopo 6 mesi di prove on-line e tre giornate in presenza, un musical è andato in scena a Trento, seguivo la regia ed è stato fantastico: in un anfiteatro all’aperto con coro, coreografie, attrici e fisarmoniche si raccontava la condizione della donna in Italia dagli anni ’30 agli anni ’50 attraverso la legislazione e le canzoni dell’epoca; protagoniste una donna ebrea ed una partigiana (con la pistola nascosta nella sporta del pane). Cancellate tutte le repliche, annullata anche la replica di un’operina di Zandonai “L’uccellino d’oro” che si voleva riportare in scena a metà Ottobre.
l’Orchestra Senzaspine di Bologna si sta sgretolando (temo che non riuscirò più a suonare con loro). I progetti cui stavamo lavorando per l’anno dantesco sono stati investiti dalla seconda chiusura, e molti musicisti stanno tentando altre strade. Continuo a suonare a casa, e a seguire le allieve via web inviando loro musica (è il periodo delle canzoni di Natale: Carol of the bells, Deck the hall, Tu scendi dalle stelle). Tuttavia quel che mi salva davvero è l’arrivo di una richiesta davvero insolita: un mosaico. Un mosaico grande 4 metri quadri e mezzo, fatto di tesserine di vetro e di pietra che rivestirà le pareti di una… doccia in una vecchia casa a Castelvetro. Ecco qualche foto. Serve un po’ di immaginazione perché quel che si vede è il negativo del disegno: le tesserine dorate sono fatte di vetro blu, il lato che sarà infine visibile è quello che ora guarda il pavimento. Ho capito come fare il mosaico leggendo un libro, facendo delle prove e grazie ai consigli della fornace di Venezia che produce i vetri. Ho scoperto un ambiente e una tecnica che non avrei mai immaginato di amare. Da circa due mesi ci lavoro ogni giorno e questa è una fortuna, perché non si può vietare il lavoro dell’artigiano in cantina, e senza questo impegno avrei visto il mondo tutto nero.
Quando ho ricevuto la vostra “Dove siamo nel mese di Dicembre?” leggendo il titolo ero contenta, immaginandovi in un qualche luogo dove tutto questo non fosse reale. Invece siamo tutti quaggiù, in questa melma che ci impedisce di fare le cose. Credo che lo streaming non funzioni, se non per studio o per documentarsi un po’ (ieri sera volevo guardare uno spettacolo in streaming: pur animata dalle migliori intenzioni, la prospettiva mi sembrava quella di mangiare pane raffermo). Sento un amico dell’orchestra, scappato in Germania appena hanno chiuso i teatri, ma non può suonare nemmeno lì e non ha il coraggio di affrontare più di un giorno alla volta. Cosa fa il lavoratore quando non può lavorare? E il teatrante che non può parlare con il proprio cuore umano ad altri cuori umani? Si riempie di domande, si chiede a che serve il suo mestiere. In questa condizione, come scrivere tranquilli (senza versare veleno nei testi)?
Il nostro lavoro non si può fare, e questo è tremendamente ingiusto. Non per questo ce ne staremo a guardare le ragnatele fino a primavera. Potremmo forse riprendere/tenere i contatti. Ho letto che gli alberi di un bosco comunicano fra loro attraverso i segnali chimici delle radici e sono consapevoli(1) della reciproca presenza.
Gli storici della politica sostengono che l’uomo è incapace di pensare a lungo termine (vedendo ogni situazione come brevissima o interminabile), ma se si cerca di tenere presente il passato, i fatti confermano che il teatro non muore. Del teatro non è possibile liberarsi, nemmeno quando è vietato.
Fra il 1200 e il 1300 il teatro era stato abolito perché blasfemo e pericoloso per la morale, ma proprio nelle chiese si tenevano le sacre rappresentazioni: per dare maggior efficacia alla declamazione le vite dei santi venivano narrate agli analfabeti con il supporto di piccole scene interpretate da “figuranti” (San Giovanni, la Madonna, il popolo); venivano così messe in scena anche le laude di Jacopone da Todi, e chi vietava il teatro in verità lo eseguiva ad ogni occasione. Il teatro non muore.
Noi, come gli ostinati amanuensi che continuavano a studiare, a copiare e a trascrivere, anche quando più dell’80% della popolazione non leggeva, continuiamo a tramandare il processo di creazione teatrale con i laboratori, con la scrittura di nuovi spettacoli, con la messa in scena di Shakespeare, anche quando tutto ci pungola: “cose superate” o “non essenziali”.
Il lavoro che fate è così importante! Per spettatori e teatranti. Gli studiosi delle abbazie sparse per l’Europa comunicavano fra loro per condividere informazioni e per sentirsi meno soli, consapevoli del valore del loro “inutile” lavoro.
Che noia tutta questa retorica, questi paragoni clericali, ma non mi riesce di scriverla meglio. Volevo dirvi di non mollare, perché abbiamo bisogno di voi: del vostro Teatro, del vostro cibo fatto con le mani, del vostro sguardo curioso e libero dall’odio; ho bisogno di sapere che ci siete e spero di poter vedere (l’estate prossima?) “E riapparvero gli animali”. Ne sento il bisogno come di una lanterna la notte in campagna.
Sono felice di sapervi insieme nella casa sul rio Marzatore piena di gatti, di poesia e di calore; Insieme è meglio, credo, di qualsiasi cosa.
un abbraccio,
(1) buffo da dire di un albero, quando siamo così inconsapevoli da esseri umani
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